CONTROSTORIA – La resistenza partigiana sanseverinate secondo il popolo

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Qui si parlerà di me, purtroppo, e dello storico Raoul Paciaroni e quindi del suo libro, Una lunga scia di sangue, sulla resistenza partigiana; libro che l’autore con enfasi sottotitola “la guerra e le sue vittime nel Sanseverinate (1943 – 1944)”. E per venire subito al dunque e nel “merito”, dico, a proposito del libro e del suo sottotitolo, che sento di dover premettere a tutto che lo scopo di quel volume (assai fazioso: vi si parla di “battaglie” che mai avvennero), è chiaro: detergere la nostra Resistenza da ogni disonore, liberandola da qualsiasi accusa d’ignominia. Le vittime, con la loro scia di sangue, secondo l’autore sono d’attribuire solo alla guerra. E invece non è affatto così: bisogna dare a ciascuno il suo. La guerra ha le sue responsabilità: le sue vittime, che non sono poche. Non gli si deve attribuire anche quelle degli altri: quelle della nostra Resistenza partigiana, causa, purtroppo deprecabile e inutile, di tanto sangue. Resistenza che da noi non fu né guerra né guerriglia. Perché dove non ci sono disciplina e soldati non c’è esercito; dove non ci sono almeno due eserciti non c’è vera battaglia; e dove non c’è battaglia non c’è né guerra e né guerriglia. L’Italia fu liberata dal suo totalitarismo fascista non dalla Resistenza, ma dalla guerra vinta dagli alleati. Anche la Resistenza partigiana locale in effetti altro non fu che un dare inizio alla rivoluzione; che, a chi già la faceva a mano armata, fu poi impedita dalle forze democratiche cattoliche e liberali; e veniva fatta non da soldati, ma da disertori, renitenti alla leva e da sovversivi; per di più organizzati da uno fuor di paese, un istriano giuridicamente poco di buono, fatto risiedere qui da noi come internato civile; e che subito si diede da fare organizzando (a stretto contatto con la “Divisione Garibaldi Marche” e, all’inizio, solo con un gruppo di slavi comunisti) una banda di tipo “titino” per contribuire a togliere di mezzo un dittatore (Mussolini) non al fine di darci libertà e democrazia, ma per imporci un regime totalitario di tipo sovietico, peggiore assai di quello che già avevamo. Gli storici detti “scientifici” come l’autore e quelli (più rispettabili, ma che la cortesia sconsiglia di nominare) di fazione partigiana non lo dicono mai, ma il Mario Depangher fu a capo di gente che combatteva perché a comandare venisse uno straniero, un dittatore molto ben più “duce” assai di Mussolini e Garibaldi: Baffone (Giuseppe Stalin), presentato sotto la maschera di un Garibaldi mitico e innocuo.

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