clausura

16.00

Con questa nuova narrazione in quattro parti Carlo Pava immagina di percorrere, prendendo spunto da precedenti annotazioni diaristiche, l’ultimo quarto del Novecento, gli anni in cui non sembravano più possibili senza inquietudini, senza traumi, le perlustrazioni nella direzione delle cosiddette liberazioni individuali che avevano caratterizzato gli anni sessanta e settanta [molto meno gli anni ottanta, con lo choc della brutalità terroristica e con le disillusioni di varia provenienza]: in primis, quindi, i nuovi modelli di convivenza sociale, le utopie politiche naufragate, la sfera dell’eros. Con una formula da mass media: il riflusso. Ma l’autore evita con la massima cura di tentare un approccio giornalistico, e tantomeno storico, a tali temi: cerca invece di passare e di farci passare, sia pure con un distacco da spettatori più o meno seriosi e perfino scandalizzati o divertiti, attraverso varie situazioni esistenziali con un linguaggio disinvolto e a volte in apparenza frivolo, mondano, in uno stile sempre tentato dalla metanarrazione, dalla riflessione critica. Emblematici i resoconti dei brevi viaggi negli Stati Uniti d’Europa [ante litteram nel 1979-1994], durante i quali un misterioso personaggio si mostra particolarmente interessato alle cose e ai comportamenti più marginali, sordidi, con uno sguardo calamitato soprattutto dalle brutture. Emerge con prepotenza un’impressione di decadenza che coinvolge tutti, tutti con lo stesso nome [Franz], al di là delle singole scelte e delle peculiarità. Ed ecco, quindi, la tentazione della “clausura”, intesa come la nostalgia dell’isolamento o del ritiro e la necessità di ripensare se stessi.

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